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Aggiornamenti normativi e conseguenze legali per l’acquisto di crediti di imposta inesistenti

La sentenza numero 8653 della Cassazione, depositata il 28 febbraio, chiarisce una questione fondamentale riguardante la dichiarazione dei crediti di imposta inesistenti. Secondo questo verdetto, qualora un contribuente acquisisca consapevolmente un credito di imposta che non ha fondamento reale e successivamente lo indichi nella dichiarazione dei redditi, si rende colpevole del reato di dichiarazione fraudolenta tramite l’uso di altri artifici.

ll caso in esame riguardava il rappresentante legale di una società a responsabilità limitata, condannato in precedenza a due gradi di giudizio per avere dichiarato crediti di imposta inesistenti, originariamente ceduti da un’altra società. Questi crediti, del valore nominale di circa 1,6 milioni di euro, erano stati acquistati per 240mila euro e riguardavano investimenti in aree svantaggiate. Nonostante il tentativo di difesa, che puntava sulla mancanza di dolo specifico e sull’assistenza di professionisti nell’operazione, oltre alla presentazione di una denuncia per truffa, la Corte ha ritenuto evidente la consapevolezza della non esistenza del credito da parte dell’imputato.

Particolarmente rilevanti sono le circostanze che hanno portato alla conferma della condanna, tra cui la sconosciutezza al fisco della società cedente, l’assenza di un nulla osta per la cessione e una marcata sproporzione tra il corrispettivo versato e il valore del credito acquisito.

Questa decisione sottolinea un importante principio: la consapevolezza dell’acquisto di crediti di imposta fittizi e la loro successiva indicazione in dichiarazione configura un reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di altri artifici.

Tale reato si applica qualora si superino le soglie di 30mila euro di imposta evasa e il 5% degli elementi attivi dichiarati.

Rispetto al passato, quando si faceva riferimento principalmente al reato previsto dall’articolo 10 quater del Dlgs 74/2000 per l’uso improprio di crediti erariali (con una soglia annua di 50mila euro), la sentenza amplia il quadro delle possibili sanzioni, introducendo una pena detentiva da tre a otto anni per i trasgressori.

Questa interpretazione riguarda tutti i tipi di crediti erariali, non solo quelli relativi all’IVA, marcando un punto di svolta nella lotta contro le frodi fiscali.

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